Project Description
Punti di fuga. Pellegrinaggi urbani tra le periferie di Roma
Autore: Michael Wernli
Prefazione: Daniela Maurizi
Fotografia e post-produzione: Michael Wernli
Roma. Lock down. L’orologio si ferma per settanta giorni, e ogni sguardo è confinato dentro i limiti di un cortile, una terrazza, una finestra. Da quel momento il desiderio di guardare oltre il confine imposto si fa quasi atto di ribellione, presa di possesso dello spazio urbano negato, con la complicità della fotografia. E l’imperativo quotidiano dell’anima: “uscire” diventa ossessione.
Uscire. Cercando di vedere per fotografare e fotografare per vedere, appesi a una fotocamera come a una maschera d’ossigeno, per ritrovarsi dentro un mondo alieno, non più abituale, non più abitato. Questa la spinta iniziale che ha portato l’autore, giorno dopo giorno, a vagare in solitaria tra le periferie di Roma nord, rubando con gli occhi pezzi della città proibita, per documentare quel paesaggio così insolito e straniante che si lasciava fotografare, e guardare, come mai prima di allora.
Perché ciò che era cambiato in quei giorni non era solo il paesaggio, ma il modo di guardarlo, come fosse la prima volta, libero dagli schemi della memoria pregressa, in piena presenza di spirito, corpo e mente. E in quel silenzio immobile dello svuotamento, che riaccende l’acutezza sensoriale, si tornava a fotografare la realtà del fatto urbano per quello che è, nella sua evidenza reale e prepotentemente oggettiva, superando per un istante l’eterna separazione tra osservatore e oggetto osservato.
Ma poi via via, il vizio di scorgere la poesia nella cruda realtà, e raccontarla, ha preso il sopravvento in post-produzione, e quell’osservatore, che si era fatto umile strumento captante della realtà, ha ricominciato a costruire la sua trama narrativa di libere associazioni. Così sono nati gli otto capitoli, sequenze di fotogrammi raggruppati seguendo un orizzonte di senso tutto umano: Transiti, duelli, rovine, messaggi, relitti, nature morte, incursioni, materie. E al loro interno, un’ulteriore classificazione per coppie di foto dialoganti – pagina sinistra e destra – secondo un registro ora ironico, ora simbolico, ora cromatico o formale.
Questa la genesi del racconto di una città senza uomini. Una città apparentemente morta, che dopo il primo shock dello spopolamento riprende a respirare di suo, cominciando a dialogare con un superstite fotografo in uno scambio surreale, quasi onirico. Una città che per la prima volta parla di sé e del proprio corpo: superfici, scheletri, sistemi circolatori, e gli oggetti d’uso comune echeggianti l’umano nella sua assenza.
Un mondo di cose che tornano a essere padrone assolute del campo, quasi presenze animate. A eccezione dei relitti abbandonati con violenta indifferenza dall’uomo, o dalle stesse istituzioni, attestanti la morte delle cose e della civiltà. Ma la denuncia cede il passo al rapimento poetico, e tra quegli oggetti banali, degradati, scartati e vissuti, si scoprono via via piccoli tesori, dettagli fuggevoli, nascosti, a volte sorprendenti, che calano l’osservatore in una dimensione di realismo magico.
Scopriamo così una realtà extra ordinaria bizzarramente popolata: quella legata alla vita della città sotterranea brulicante di condotti affioranti come invasori dal sottosuolo (Incursioni); strane aggregazioni volontarie o casuali di oggetti banali, nate per necessità o semplice decoro, che rivelano il lato pop-kitsch dell’esistenza (Nature morte);
superfici materiche offerte all’azione dell’uomo e del tempo, che sembrano strizzare l’occhiolino alla più colta arte informale-astratta (Materie); oggetti abbandonati che si fanno traccia del vivente con un timido accenno alla poesia dell’objet trouvé (Relitti); segnali, intrecci di codici comunicativi che non parlano più a nessuno, ridotti a puri segni astratti, o surreali ammonimenti lanciati nel vuoto senza più destinatari (Messaggi);
luoghi e manufatti soggetti al degrado dell’abbandono e ai colpi disgreganti della natura e del tempo (Rovine); tracciati, direttrici di percorsi presunti o pianificati, fughe prospettiche in cerca di un nuovo orizzonte di senso (Transiti); lottatori immaginari di mondi antagonisti che si fronteggiano, tra giochi di specularità o abbracci fatali, in quell’eterna lotta fra artificio e natura (Duelli).
Questo e altro ci raccontano le foto di Michael Wernli, scattate fra i quartieri di Primavalle e Monte Mario in pieno lock down. E ci ricordano anche che saper vedere è la conquista, o riconquista, di una realtà spesso inaccessibile, mascherata o nascosta dietro una vitalità surrogata. Ma basta fare un giro tra queste pagine per riaccendere il desiderio di tornare a vedere oltre il già visto ed entrare in relazione col mondo, dove il degrado si abbraccia alla speranza, dove l’oggetto diventa presenza, dove ogni cosa parla di sé.