Project Description
La mia Chernobyl
Un libro di Enrico Vetri
Ogni fotografia porta con sé due componenti emotive: quella suscitata dall’immagine e quella provata da chi si trova dietro l’obiettivo.
L’obiettivo di questo foto-racconto è provare a fissare attraverso le parole e le immagini, le sensazioni scaturite dalla visita di un luogo che è stato teatro di una delle più grandi tragedie contemporanee. I dialoghi delle interviste alle persone che ne furono, all’epoca, inconsapevoli protagoniste, offrono una testimonianza emotiva che ancora si percepisce attraverso gli sguardi e l’espressione del viso dei sopravvissuti.
Questo libro quindi non è un resoconto più o meno dettagliato degli eventi che hanno portato al disastro di Chernobyl, di cui peraltro esiste ampia ed autorevole documentazione, bensì una narrazione intrisa di emozioni e impressioni profonde dell’autore che, con parole e immagini, descrive ciò che ha visto e percepito da dietro la macchina fotografica, fino a immedesimarsi nel ruolo di un cittadino qualunque della Chernobyl prima dell’incidente.
Il libro si suddivide in due parti principali:
La prima descrive la vita quotidiana a Pripyat attraverso le vicende di soggetti reali e le interazioni con le persone oggi conosciute con il nome di “Samosely” (letteralmente “reinsediati”), cioè coloro che furono evacuati subito dopo il disastro ma che rientrarono abusivamente nelle campagne attorno alla città per riappropriarsi della loro identità e del loro territorio. Questa sezione narrativa è stata costruita utilizzando i racconti e le testimonianze dirette dei Samosely incontrati dall’autore nel corso dei suoi viaggi a Chernobyl e nei dintorni, dove esistono ancora piccole comunità agricole che sopravvivono di qualche prodotto della terra e di un misero sussidio governativo.
Si evince dalla lettura del testo quali fossero, prima del disastro, la prosperità di quel luogo e le speranze di un futuro radioso riposte nella tecnologia e nella capacità, promessa, di controllare l’energia atomica.
La seconda metà invece racconta tutte le sensazioni vissute in prima persona dall’autore, attraverso aneddoti e dialoghi che ha potuto intrattenere con i vari membri dei gruppi con i quali si è unito durante i suoi viaggi fotografici nelle visite a Pripyat e Chernobyl.
Sebbene siano narrate anche situazioni all’apparenza leggere, traspare sempre un grande rispetto per il luogo e per le persone che vi hanno vissuto. La fotografia legata alle attività di esplorazione urbana implica, infatti, l’accesso a siti in cui altre persone hanno vissuto e lasciato un’impronta indelebile delle loro abitudini.
Troppo spesso però la loro originalità viene stravolta per creare set fotografici ad effetto, al solo scopo di catturare un’immagine che soddisfi la visione del fotografo, penalizzando totalmente il contesto. E quanto più un sito contiene tracce e oggetti di uso comune che raccontano di una quotidianità stravolta istantaneamente, più spinto è il tentativo da parte di taluni fotografi di esasperare ciò che già racconta di eventi dolorosi. Quanto invece traspare nella seconda parte del libro, è una sorta di rispettoso passaggio in punta di piedi da parte dell’autore attraverso luoghi, corridoi, stanze di cui cattura l’attuale stato di decadenza di Chernobyl senza quasi voler turbare l’essenza delle persone che ancora percepisce presenti.
Nella sezione “Backstage” l’autore si propone di portare un contributo in termini di rapporti umani là dove questi non esistono più, attraverso la narrazione di episodi occorsi durante le escursioni in cui è messa in risalto la spontaneità delle persone e delle situazioni, diverse ovviamente per cultura e origine da quella che doveva essere la realtà di Chernobyl.
Il lettore è di fatto portato a compiere un viaggio visivo ed emotivo tra quello che resta di una fiorente città entrando in empatia con i sopravvissuti, quasi a sentirsi uno di loro, salvo accorgersi, a differenza di loro, di avere in tasca un biglietto per il viaggio di ritorno.