Project Description
Ho conosciuto Matteo nel 2014 durante un Workshop di Fotogiornalismo tenuto a Torino insieme all’amico Francesco Cito. Ricordo ancora le prime parole che ci siamo scambiati, un avvertimento prima di mostrarci i suoi scatti: “attenti, le immagini sono piuttosto forti!”…
Nelle foto di Matteo non ci sono morti né guerre, non ci sono violazioni di diritti umani o condizioni di violenza o povertà estreme, nessuno dei temi caldi ormai sdoganati dal fotogiornalismo moderno.
Nel lavoro di Matteo ci sono il sangue e la carne, ma manca completamente ogni forma di violenza.
Paradossalmente, a penalizzarne la visibilità, è stata proprio la sua innocenza, l’assenza di una ragione sufficiente per sfidare il tabù del dolore: in un mondo come quello del giornalismo contemporaneo, dove i limiti dell’etica sono elastici e permeabili quanto l’andamento del mercato editoriale, il sangue può essere concepito solo come manifestazione di un torto o un’ingiustizia sociale, come un male necessario, una prova da presentare al tribunale dell’opinione pubblica per influenzarlo.
Riccardo Bononi
Il contenuto del libro
Riquadri di strade polverose che il sangue trasforma in grumi, in sentieri ruvidi come catrame, occhi vacui, santoni imbellettati dai riti antichi e pelle nuda che si vanta di cicatrici. Sembra di sentirne il rumore, la vibrazione di mille voci che si allungano all’unisono. Muscoli martoriati e fisici spezzati. Formiche umane che rincorrono labirinti come cavie disperate ma consapevoli, loro lo sanno perché lo fanno. Loro ci credono.
Matteo fa una scelta. Decide che non è lì per documentare, per certificare un evento, quel che accade, per forza di cose, gli entra dentro e quando esce è qualcos’altro che prima non c’era. Perde il colore, la vivacità cromatica se la ruba il dramma e il dramma si scioglie nel bianco e nero che l’autore sente di concedere al raccontare. In fotografia “togliere” è come aggiungere, se lo sai fare bene. Spogli il superfluo per arrivare all’essenza.
A noi arriva l’essenza di ciò che Matteo ha visto e noi gli crediamo.
Paolo Ranzani
Il Credo e il Sacrificio
Il sacrificio è sempre stato il simulacro delle religioni. Alla memoria viene subito il gesto di Abramo che non ebbe esitazioni ad ubbidire alla richiesta di Dio, partì per sacrificare il figlio Isacco e si fermò solo per il volere divino.
In varie parti del mondo fu usanza, forse non ancora del tutto abortita, uccidere animali e perfino vite umane, bambini, donne vergini come dono sublime per guadagnarsi il ben voler degli Dei.
La stessa eucaristia, se ci pensiamo, ha un retrogusto di cannibalismo, mangiare simbolicamente il corpo di Cristo.
C’è qualcosa di potente da affrontare, ci sono molti perché, ci sono domande alle quali solo la fede più intensa può rispondere, solo IL CREDO più profondo ed esasperato può fornirci spegazioni.
Con questo lavoro fotografico Matteo Fantolini non cercava risposte e forse non si è mai davvero posto domande, lui era Ateo ma interessato alla ricerca di cosa volesse significare “accettare qualcosa per vero”. Credere e farlo al punto di offrire la propria sofferenza, il sangue e la carne, il dolore e il sudore. Quel che cercava era di soddisfare un gesto sublime. Raccontare.
“Io sono qui e questo sta succedendo, adesso. Ve lo racconto come lo sento”.
Senza giudizio, senza spettacolarizzare. Narrare attraverso se stesso.
L’essenza della religione, nella sua integrità, si concentra ed ha la sua forma sensibile nel sacrificio. Il sentimento di dipendenza, il timore, il dubbio spingono al sacrificio il cui esito sono il coraggio, il godimento e la beatitudine. Il fondamento di tutte le religioni, anche di quella cristiana, è la divinità della natura ma il fine è la divinità dell’uomo
Ludwig Feuerbach
La prima edizione del libro sarà presentata durante la mostra fotografica “I Believe“.
Inaugurazione della mostra “I BELIEVE”: 16 dicembre 2017 a Torino